Una scena che capita abbastanza di frequente nella pratica clinica è questa: il paziente ha un dolore al ginocchio da qualche tempo. Siccome il dolore non passa, fa una radiografia (Rx, comunemente chiamata “lastra”) e, visto che c’è, la fa a entrambe le ginocchia. Molto spesso si trova dell’artrosi, ossia una degenerazione della cartilagine articolare con produzione di osteofiti, cioè delle piccole calcificazioni attorno all’articolazione: ma il bello è che spesso capita che si trovino le cose peggiori nell’altro ginocchio, cioè quello che... non fa male!

La stessa cosa succede per le ecografie alle spalle che evidenziano borsiti o piccole lesioni della cuffia nella spalla non dolente, o radiografie ai piedi con gli “speroni” presenti in entrambi i piedi, anche se solo uno fa male, ecc. ecc. Vabbè, direte, ma con la lastra non si vede niente, ci vuole la risonanza magnetica nucleare (RMN). Errore! Anche con la risonanza succede la stessa identica cosa. Ormai la cosa è risaputa da anni, ed è stata molto studiata nell’ultimo ventennio. Quello che succede è questo: la tecnologia medica è diventata incredibile quando si tratta di “vedere” quello che c’è dentro il corpo (basti pensare all’evoluzione: Rx, Ecografia, Tac, RMN, PET, MOC).

Il problema con tutta questa tecnologia è che possiamo trovare qualcosa (una lesione meniscale, uno stiramento del tendine della cuffia nella spalla, un po’ di fluido dentro una borsa, un’erosione della cartilagine ecc.) e supporre che questo qualcosa non vada bene, o peggio ancora supporre che questo qualcosa sia la causa del dolore. In realtà moltissimi studi hanno dimostrato in maniera inconfutabile che in qualsiasi parte del corpo puntiamo una RMN, posso trovare qualcosa che non va, anche in zone che non hanno mai avuto dolore. E che probabilmente non l’avranno mai. Quando si trova un’anomalia strutturale in una zona priva di dolore, si dice che quell’anomalia è un falso positivo. La risonanza magnetica ha molti falsi positivi perché è uno strumento molto sensibile, cioè capace di vedere moltissime cose molto in profondità, ma è uno strumento poco specifico, cioè le cose che trovo solitamente non sono sinonimo di una determinata patologia. In altre parole, ci sono tante persone con una RMN molto brutta (anche alla schiena) ma che non hanno nessun tipo di dolore, così come ci sono persone che hanno una RMN “pulita” ma che hanno un dolore pazzesco. Capite bene che, in una situazione del genere, se avete ad esempio mal di schiena da qualche tempo e andate dal medico e vi fate fare una RMN, quasi sicuramente la risonanza evidenzierà un’anomalia (protrusione discale, bulging, ernia, spondiloartrosi, spondilolisi, riduzione dello spazio intervertebrale, ernia di Schmorl, ecc ecc): ma dire che quella anomalia è la causa del vostro dolore è sbagliato, perché le stesse anomalie spesso sono presenti anche nelle persone che non hanno dolore. Allo stesso modo succedeva negli anni settanta quando per un certo periodo (sapete le “mode”, no? – ricordate la moda dell’apparecchio ai denti? o dell’appendicite? o delle tonsille? o ecc. ecc.) si pensava che tutti i mal di schiena fossero dovuti all’ernia del disco, per cui moltissime persone venivano sottoposte all’intervento di discectomia appena si vedeva un disco anomalo alla TAC. Ebbene, negli anni seguenti si sono analizzati meglio i risultati e si è visto che molti degli operati di ernia avevano dolore tale e quale (per non dire peggio: per cui il dolore non dipendeva dall’ernia vista alla TAC), oppure si vedeva che in quelli non operati poi il dolore passava, ma rifacendo la TAC l’ernia era lì tale e quale (per cui anche qui non era l’ernia a causare il dolore). Da queste osservazioni si è cominciato a capire che il modello puramente biomedico, in cui danno strutturale=dolore, era sbagliato. Tanto è vero che le operazioni di ernia discale si sono ridotte moltissimo, e sono indicate solo in situazioni ben precise (compressione grave di una radice lombare con rapida perdita di forza ingravescente alla gamba, sindrome della cauda equina): e chi si opera più alle tonsille? Voglio chiarire un punto: ci sono situazioni in cui il danno strutturale genera dolore, eccome se ci sono. Ma comunque il dolore dura per un certo periodo, finché la lesione non si ripara, poi generalmente passa. Prendiamo ad esempio una lesione discale acuta nella schiena, la famigerata ernia del disco: è chiaro che un’erniazione acuta è dolorosa. Ma poi, proprio come un taglio sul braccio che cicatrizza, anche il disco guarisce, fa la sua bella cicatrice, e smette di fare male. Anche la peggiore delle sciatalgie, una volta che il disco si è disidratato e non comprime più la radice nervosa, la maggior parte delle volte smette di fare male. Il corpo guarisce il danno tissutale. Se il dolore continua, o viene da altre strutture, oppure c’è una disfunzione sottostante che causa un sovraccarico discale, come un modo errato di muovere la zona lombare che mantiene la zona sensibilizzata. C’è un’altra possibilità: è oramai dimostrato che alcune caratteristiche psicologiche (ansia, depressione, eccessiva paura del dolore, catastrofismo = ingigantire le conseguenze negative di un problema, ipervigilanza= dare eccessiva importanza anche ai più piccoli sintomi) rendono più probabile che il dolore permanga anche una volta guarito il danno tissutale. Spesso questi fattori coesistono e si mantengono a vicenda. Per cui, se ogni tanto avete male alla schiena, dire: ”è la mia ernia che ogni tanto si fa sentire”, non ha alcun senso clinico. Stesso discorso per la frase: “è la mia ernia che ogni tanto viene fuori” che non ha neppure senso biologico: il disco erniato è ben fermo lì, e non si sposta avanti e indietro come una pallina del flipper.


La correlazione tra le anomalie strutturali trovate con la RMN e il dolore è molto bassa, dell’ordine del 5-10%.


Prendendo come esempio la schiena questo significa che se fate una RMN alla schiena per il vostro dolore lombare cronico, troverete quasi sicuramente qualcosa (la probabilità di trovare qualcosa di anomalo cresce ovviamente con l’età), ma questo qualcosa ha al massimo un 10% di probabilità di avere a che fare con il vostro dolore. Giusto per la cronaca: in questo 5-10% di casi in cui quello che si vede nella RMN è proprio quello che sta causando il vostro dolore, solitamente è già molto chiaro dall’esame clinico qual è il tipo di problema. Trattasi in genere di: fratture vertebrali, stenosi del canale lombare e compressioni radicolari da ernia espulsa (la cosiddetta “sciatica”). Diciamo che nella migliore delle ipotesi la risonanza magnetica deve servire a confermare una diagnosi, non a fare una diagnosi.


In conclusione, molti di noi, se non tutti, abbiamo delle anomalie nella risonanza e negli Rx senza avere alcun tipo di dolore. Degenerazioni della cartilagine, bulging discale, ernia del disco, schiacciamenti, lesioni della cuffia, calcificazioni nei legamenti o nelle articolazioni sono spesso tutte normali modificazioni correlate all’età che possono esistere senza dolore. Questi cambiamenti tissutali sono del tutto normali e più numerosi man mano che l’età avanza, anzi, sarebbe anormale non averli. È esattamente come avere i capelli bianchi o le rughe sulla pelle. Potete immaginare queste modificazioni strutturali come delle “rughe interne”.

Sono solo rughe!



Direte: Ok, la risonanza non ci dice tutto, ma allora: ... perché mi fa male?


Questo è un frammento di un articolo apparso sul New York Times scritto da un chirurgo di fama proprio sul problema dell’eccessivo utilizzo della risonanza magnetica:


“....i pazienti con dolore chiedono di fare una risonanza sperando di trovare quello che provoca il loro dolore; allo stesso modo i medici sono tentati di fare l’esame al paziente, e, una volta fatta, è comune per i medici e i pazienti supporre che ogni anomalia trovata sia la causa del loro dolore....”


Ora, tornando alla domanda: allora, perché mi fa male?


Il fatto è che la psicologia ci dice che l’uomo vuole delle risposte semplici e facilmente comprensibili: queste sono quelle che fanno veramente presa nella nostra mente. Se poi vi mettono anche un paio di metafore, il gioco è fatto: nessuno ci toglierà più dalla testa che è proprio quell’anomalia a fare male. Se vi dicono che il disco tra L5 e S1 si è un po’ ridotto di spessore, da qui alla parola “schiacciamento” il passo è breve, e da qui a pensare che correre non vi faccia bene perché tende ad aumentare questo schiacciamento è un attimo. Morale: per una banalità che non ha nessuna rilevanza patologica, ogni volta che sentirete qualche fastidio alla schiena penserete al danno irreversibile che state facendo a quelle due vertebre e magari smetterete anche di correre, senza sapere che magari quello “schiacciamento” ce l’ha anche il 60 % dei vostri colleghi runner che non soffrono di mal di schiena.

C’è anche un cervello!



Il problema è che l’essere umano non è una marionetta in cui tutto si può spiegare tramite leve e carrucole: c’è un sistema nervoso in mezzo, cervello compreso. Per cui spiegare perché si ha dolore non è purtroppo così semplice e intuitivo, anche perché i meccanismi che lo provocano ancora non si sono compresi del tutto. Negli ultimi anni però si sono fatti passi da gigante in questa direzione.


Ora, senza tirare fuori concetti sulla neurofisiologia del dolore (primo perché servirebbero dieci articoli, secondo perché sarebbero un po’ noiosi), basti pensare che la risonanza non è altro che una fotografia del vostro corpo mentre ve ne state stesi in un tubo. Per spiegare il dolore sono molto più importanti il modo in cui vi muovete, le posizioni in cui state, l’articolarità che avete nelle varie articolazioni, la mobilità tissutale, la capacità di avere un tronco stabile mentre muovete gli arti, oltre a tanti altri aspetti psicologici che poco hanno a che fare con le ossa e i muscoli. Se avete dolore al ginocchio mentre correte, la risonanza vi può dire solamente che avete la cartilagine usurata, ma non vi dice se è quella che genera dolore (per la precisione, tra l’altro, la cartilagine umana non è innervata, per cui non può generare dolore): probabilmente il dolore è spiegato meglio dal modo in cui si comporta il ginocchio mentre tutto il peso è su quella gamba, se la rotula rimane centrata nella gola, se la tibia non ruota all’esterno, se il quadricipite non è talmente rigido da spostare la rotula verso l’alto, da quanti chilometri avete fatto nelle ultime settimane, se state dormendo abbastanza ecc ecc. Se avete dolore a scendere le scale, e mettendo un tape per riposizionare la rotula il dolore diminuisce, capite bene che la spiegazione della cartilagine è una spiegazione perlomeno parziale. Bisogna considerare poi che il dolore è influenzato non solo dallo stato dei tessuti, ma anche dal nostro cervello: anzi, ad essere precisi, il dolore è puramente un prodotto del nostro cervello. Significa che lo stesso danno tissutale può provocare più o meno dolore anche in base alle nostre convinzioni, emozioni, esperienze precedenti, aspettative, ovverosia in base a delle variabili non tissutali che modulano il dolore.


E qui veniamo all’ultimo punto: ok, la risonanza molte volte non serve, ma di sicuro male non fa.


E invece, sembra di si. Ad esempio, questo studio analizzando 1226 persone con mal di schiena della stessa gravità, ha dimostrato che chi aveva fatto subito una risonanza, dopo un anno aveva più dolore e difficoltà rispetto a chi non l’aveva fatta.

Questo si spiega, in riferimento a quanto detto prima, con il fatto che il dolore è influenzato anche da fattori psicologici: se vi dico che avete un’ernia, che la vostra schiena è fragile, che avete la schiena di un’ottantenne, ecc. ecc, sto aumentando nel vostro cervello la sensazione di pericolo. Ciò potrebbe farvi aumentare il dolore, e potreste preoccuparvi eccessivamente, e naturalmente sentendo dolore avrete paura di fare ulteriori danni, e forse smetterete di fare l’attività fisica che vi piaceva e scaricava così tanto; poi magari comincerete a non uscire molto di casa, a deprimervi un po’, ad avere un’ansia eccesiva ogni volta che dovete usare un po’ la schiena, per non parlare del lavoro che letteralmente vi sembrerà impossibile: in sostanza, si innesca un circolo vizioso.

Questa cosa è chiamata in gergo catastrofismo: sappiate che è uno dei fattori che contribuisce al dolore cronico. Gli esami strumentali vi danno un’etichetta: ho un’ernia, ho la cartilagine consumata, ho uno schiacciamento, ho una calcificazione ecc ecc. Al momento buono, state certi che il vostro cervello tirerà fuori questa etichetta, contribuendo a peggiorare i sintomi. In questi casi invece di effetto placebo di una cura, poiché all’opposto l’effetto è negativo, si parla di effetto nocebo.


Evitiamo il catastrofismo!


Avete presente quei modellini della schiena in cui si vede il bel disco con l’ernia in rosso? (ce l’ho anche io, mea culpa): in America stanno iniziando una battaglia contro questi modellini perché creano nel paziente una preoccupazione eccessiva, facendogli credere che ormai il danno è fatto per sempre e il dolore sarà irreversibile, che se non sta attento a come si piega il disco scoppierà del tutto, che non potrà fare più nulla con la sua schiena ecc. ecc... Ebbene, sappiate che questa paura è totalmente infondata, in quanto la schiena in realtà è una struttura molto robusta che può sopportare carichi molto elevati e anche il peggior dolore molto spesso è reversibile.


Il danno strutturale che vedete nella risonanza non è una condanna a vita


Nei paesi anglosassoni hanno addirittura inventato un acronimo per descrivere quei pazienti che alla ricerca della causa del loro dolore fanno qualche esame e poi, quando viene rilevata qualche anomalia perfettamente normale per la loro età, tendono a dargli troppa importanza e questo provoca paradossalmente un peggioramento del modo in cui affrontano il loro problema. Questi pazienti li hanno chiamati VOMIT (Victim Of Medical Imaging Technology), ovverosia Vittime della Tecnologia delle Immagini Mediche. Qui potete vedere il poster VOMIT originale tradotto da colleghi italiani in cui per le varie zone del corpo viene mostrato come gran parte delle anomalie che si trovano negli esami (Rx, Tac e Risonanze) sia presente anche nelle persone senza dolore.


Concludendo, la risonanza (e ogni esame in generale) è utile se cambia la prognosi e il trattamento: nel 90% dei casi non lo fa, e finisce nel cassetto assieme alle altre. Negli altri casi, serve solo a confermare un problema già evidente all’esame clinico. Molti ortopedici la considerano infatti uno strumento pre-chirurgico, piuttosto che un esame di screening. Cioè mi serve per confermare se il problema è chirurgico oppure no.


Infine, una precisazione: diagnosi significa individuare la natura o la causa del dolore. La diagnosi strutturale è di competenza medica. Compito del fisioterapista è la cosiddetta diagnosi funzionale: cioè non valuta tanto la struttura, ma come sta funzionando quella struttura. Il grado di movimento, la forza, il controllo motorio, l’elasticità tissutale, la qualità del movimento, la mobilità del tessuto neurale sono alcune delle cose che valuta il fisioterapista per individuare, quando possibile, i fattori contribuenti al dolore.


Ecco qualche articolo in cui si evidenzia che il dolore non è correlato alle anomalie tissutali.


Gli articoli sono molto interessanti, per ora ve li elenco e basta, ma varrebbe la pena guardarli un po’ da vicino: magari lo faremo in un’altra occasione.


Anomalie della SPALLA non correlate al dolore:


Connor PM, Banks DM, Tyson AB, Coumas JS, D’Alessandro DF. Magnetic resonance imaging of the asymptomatic shoulder of overhead athletes: a 5-year follow-up study. Am J Sports Med. 2003 Sep-Oct;31(5):724-7. (link: http://web.archive.org/web/20150829065415/http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12975193 )


Miniaci A, Mascia AT, Salonen DC, Becker EJ Magnetic resonance imaging of the shoulder in asymptomatic professional baseball pitchers. Am J Sports Med. 2002 Jan-Feb;30(1):66-73. (link: http://web.archive.org/web/20150703162028/http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11798999 )


Jost B, Zumstein M, Pfirrmann CW, Zanetti M, Gerber C.MRI findings in throwing shoulders: abnormalities in professional handball players. Clin Orthop Relat Res. 2005 May;(434):130-7. (link: http://web.archive.org/web/20170518230956/https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15864042 )


GINOCCHIO


Shellock FG, Hiller WD, Ainge GR, Brown DW, Dierenfield L. Knees of Ironman triathletes: magnetic resonance imaging assessment of older (>35 years old) competitors. J Magn Reson Imaging. 2003 Jan;17(1):122-30. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12500281 )


Beattie KA, Boulos P, Pui M, O’Neill J, Inglis D, Webber CE, Adachi JD. Abnormalities identified in the knees of asymptomatic volunteers using peripheral magnetic resonance imaging. Osteoarthritis Cartilage. 2005 Mar;13(3):181-6. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15727883


Shellock FG, Deutsch AL, Mink JH, Kerr R Do asymptomatic marathon runners have an increased prevalence of meniscal abnormalities? An MR study of the knee in 23 volunteers. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1950873 )


Zanetti M, Pfirrmann CW, Schmid MR, Romero J, Seifert B, Hodler J.  Clinical course of knees with asymptomatic meniscal abnormalities: findings at 2-year follow-up after MR imaging-based diagnosis. Radiology. 2005 Dec;237(3):993-7. Epub 2005 Oct 26. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16251395)


COLONNA VERTEBRALE


Maurer M, Soder RB, Baldisserotto M Spine abnormalities depicted by magnetic resonance imaging in adolescent rowers. Am J Sports Med. 2011 Feb;39(2):392-7. Epub 2010 Oct 2. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20889986 )


Jensen MC, Brant-Zawadzki MN, Obuchowski N, Modic MT, Malkasian D, Ross JS N Engl J Med. Magnetic resonance imaging of the lumbar spine in people without back pain. 1994 Jul 14;331(2):69-73. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8208267 )


Weinreb JC, Wolbarsht LB, Cohen JM, Brown CE, Maravilla KR. Prevalence of lumbosacral intervertebral disk abnormalities on MR images in pregnant and asymptomatic nonpregnant women. Radiology. 1989 Jan;170(1 Pt 1):125-8. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2521192)


Takada E, Takahashi M, Shimada K.Natural history of lumbar disc hernia with radicular leg pain: Spontaneous MRI changes of the herniated mass and correlation with clinical outcome. J Orthop Surg . 2001 Jun;9(1):1-7. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12468836)


Stadnik TW, Lee RR, Coen HL, Neirynck EC, Buisseret TS, Osteaux MJ. Annular tears and disk herniation: prevalence and contrast enhancement on MR images in the absence of low back pain or sciatica. Radiology. 1998 Jan;206(1):49-55. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9423651)

Matsumoto M, FujimuraY, Suzuki N, Nishi Y, Nakamura M, Yabe Y, Shiga H.MRI of cervical intervertebral discs in asymptomatic subjects.J Bone Joint Surg Br. 1998 Jan;80(1):19-24. (link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9460946)


Samuele Graffiedi, Fisioterapista


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