Abbiamo visto in questo articolo come per massimizzare l’efficienza della corsa dobbiamo lavorare su due fattori fondamentali:


  • Appoggiare con il piede più vicino possibile al corpo, cioè don’t overstride!

  • Aumentare la frequenza a 175-180 passi al minuto.


Vediamo oggi come deve essere lo stile di corsa per minimizzare il sovraccarico articolare e tissutale, e quindi le probabilità di infortunarsi.

Il concetto fondamentale è la forza d’impatto: è la forza che subisce il corpo quando il piede arriva in contatto con il terreno. È una cosa che in laboratorio si può facilmente misurare: basta mettere dei sensori sotto al tappeto del tapis roulant. E’ il valore nei grafici a sinistra. In realtà quello che conta veramente non è tanto la forza massima al momento dell’impatto, ma quanto rapidamente si arriva al picco della forza. Nei grafici vedete che in entrambi la forza massima applicata al momento dell’impatto è la stessa (l’apice della curva), cioè circa 2,5 volte il peso corporeo. Questo picco riflette le forze di reazione del terreno quando durante l’appoggio il baricentro del corpo è nel suo punto più basso. Quello che cambia nei due grafici è la velocità con cui è applicata questa forza, cioè la velocità con cui viene raggiunto il picco. Questa velocità nel grafico è data dalla pendenza della linea rossa (per chi se ne intende, è la sua derivata). 

Come vedete nel primo grafico la pendenza è più ripida e si raggiunge subito un primo picco di forza, chiamato picco d’impatto. Nel secondo invece la pendenza è più morbida, il picco di forza del passo cresce più lentamente, e non c’è il picco d’impatto per cui le forze arrivano sul piede in maniera più uniforme ma soprattutto più lentamente. Questa seconda pendenza sembra associata a un minor rischio d’infortunio.


Bene, ora immaginiamo di correre 60 chilometri a settimana. Pensate al carico cui sottoponiamo le varie strutture corporee correndo. Ora pensate di correre quei 60 chilometri con uno stile di corsa che minimizza la velocità con cui applichiamo quel carico meccanico. Diminuire il carico applicato ai tessuti ad ogni passo minimizza lo stress tissutale del runner, e quindi gli effetti dei microtraumi tipici dell’endurance. Il tasso con cui i tessuti sono sottoposti al carico è dimostrato essere implicato in numerosi infortuni, tra cui fratture da stress, fascite plantare, tendinopatie dell’achilleo, sindrome femoro-rotulea, dolore lombare e altri ancora.


Ora la parte interessante: con quale stile di corsa ottengo il secondo grafico, quello meno stressante?


Vediamo i risultati degli studi.

Nel primo grafico il corridore impatta con il tallone (punta verso l’alto): questo è lo stile “sbagliato”, quello che massimizza le forze in gioco. La pendenza è molto ripida: questo significa che si raggiunge molto velocemente il picco di forza. Inoltre è presente il picco d’impatto (chiamato Impact Transient nel grafico). Potete vedere un bellissimo video di questo tipo di impatto qui.

Non è mostrato il grafico dell’impatto con il tallone a piedi nudi, ma è sostanzialmente uguale (potete vedere il video qui). E’ interessante notare che l’uso delle scarpe non modifica quasi per nulla l’impatto, se questo avviene con il tallone, nonostante tutta quella gomma proprio sotto il tallone. Questo aspetto è molto importante e mette in discussione il classico paradigma di scarpa protettiva, ma ne parleremo approfonditamente in futuro.

Nel secondo grafico l’appoggio avviene con l’avampiede (piede verso il basso): qui si ha la pendenza più morbida, e quindi è minimizzata la forza d’impatto. Inoltre manca il picco d’impatto. Potete vedere il video corrispondente qui.

Le conclusioni di questo studio (Lieberman 2010) indicano senza possibilità di errore che l’appoggio di avampiede elimina virtualmente il picco d’impatto (il primo picco iniziale) e soprattutto produce un incremento più lento della forza d’impatto.

Al contrario l’appoggio di tallone porta a un rapido picco d’impatto fino a tre volte il peso corporeo entro 50 millisecondi dall’impatto: se non vi sembra importante considerate che è l’equivalente di qualcuno che vi colpisce sul tallone con un martello usando una forza fino a tre volte il vostro peso corporeo. E questo circa 500 volte al chilometro.


La cosa interessante, come già accennato, è che le scarpe da correre comunemente utilizzate, le cosiddette protettive, permetteno di impattare con il tallone in maniera un po’ più confortevole e meno traumatica in quanto riducono la forza di circa un 10% e distribuiscono la forza su una superfice maggiore: questo appoggio di tallone però produce il picco iniziale e un improvviso aumento della forza d’impatto.


Ora queste analisi ci dicono che, per la stragrande maggioranza dei runner, adottare un’appoggio di avampiede/mesopiede porta ad una diminuzione della forza d’impatto (per la precisione, della velocità cui si arriva al picco della forza d’impatto). Ma questa diminuzione non è tanto dovuta all’appoggio diverso del piede, ma al fatto che un appoggio di tallone favorisce un atterraggio con il piede più lontano davanti al corpo, cioè favorisce l’overstride.


Per cui l’overstride non solo si rivela poco efficiente in termini energetici, ma anche in termini di forza d’impatto.


Invece i runner che atterrano con l’avampiede impattano anche più vicini al corpo, e quindi hanno una corsa non solo più efficace, ma anche più sicura in termini di forze in gioco.


Per cui in realtà il tipo di appoggio (tallone/avampiede) è un effetto, non una causa. Cioè, per ridurre la forza d’impatto devo atterrare vicino al corpo: siccome per appoggiare vicino sono praticamente obbligato ad appoggiare di avampiede, questo per il 95% dei runner significa anche che atterrerò con l’avampiede. Per cui è più importante dove avviene l’appoggio rispetto al corpo piuttosto che con quale parte del piede appoggio prima. Appoggiare il piede vicino al corpo ha anche il vantaggio che al momento del contatto sia la caviglia che il ginocchio sono leggermente piegati, per cui i carichi vengono distribuiti su più articolazioni piuttosto che sulla sola gamba dritta: è come aggiungere degli ammortizzatori in più alla vostra auto.

Messaggio da portarsi a casa


Lo stile che si rivela più efficiente è anche quello che minimizza le forze d’impatto,


cioè appoggiare con l’avampiede/mesopiede più vicino possibile al corpo.



Qualcuno di voi dirà: ok, questa è la teoria, bella ma...che noia! In pratica, cosa devo fare?


Semplice: aspettare il prossimo articolo.


Stay tuned.



* Una nota sulla corsa a piedi nudi: come visto sopra, la corsa a piedi nudi presenta delle forze minori rispetto ad una corsa con scarpe protettive. Questo apparente paradosso è facilmente spiegato dalle analisi video: correndo a piedi nudi è praticamente impossibile continuare ad appoggiare sul tallone per via degli urti cui si è sottoposti, per cui viene naturale cambiare verso un tipo di appoggio di avampiede più vicino al corpo. E questo come abbiamo visto è esattamente il modo di correre che riduce la forza d’impatto. Quindi il motivo è che correre scalzi tende a modificare il nostro stile di corsa verso uno più efficace e meno traumatico. Anzi, il problema è l’opposto: le scarpe da corsa tradizionali con tutta quella gomma ammortizzante sotto il tacco ci stimolano proprio ad atterrare con il tallone molto davanti al corpo, cosa impossibile senza scarpe. Per cui quello che dovrebbe proteggerci, in realtà ci stimola a uno stile di corsa più traumatico. Ecco il paradosso: le scarpe ammortizzate sono una soluzione a un problema creato dalle scarpe stesse. Ma c’è una buona notizia: fortunatamente avere una maggior forza d’impatto non si traduce automaticamente in maggior numero d’infortuni, perché il corpo è in grado di adattarsi con il tempo al carico superiore.

Samuele Graffiedi, Fisioterapista


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